UN VOLTO DAL TEMPO – Angela – Recensione di Lina Leone

Il romanzo, che è il seguito di Un volto dal tempo/Diamante, edito dalla storica casa editrice Laterza, ha il privilegio, abbastanza raro, di essere dotato di una Introduzione, tanto interessante quanto incisiva, firmata dallo stesso Giuseppe Laterza: testimonianza e riconoscimento di stima grande!

Giuseppe Laterza individua come cifra stilistica dell’Autrice la raffinatezza letteraria: accanto a questa ne possono essere individuate altre, che rendono i suoi romanzi molto accattivanti.

Innanzitutto, nel suo spirito poliedrico, va sottolineato soprattutto l’aspetto amoroso: la stella polare che la guida è l’Amore, un amore declinato poi in tante sfaccettature, e una spia semantica di questo aspetto è l’uso, nei suoi romanzi, della prima persona: il punto di vista della narrazione in prima persona consiste nella grande intimità che si crea tra il narratore e il lettore, rendendo così la storia più avvincente perché l’autore diventa un personaggio che partecipa alle azioni.

Altre cifre stilistiche: la curiositas, madre della sapienza, perché l’Autrice non ha mai smesso di studiare, di voler conoscere, di voler sapere;

l’originalità e l’inventiva molto singolari con una totale assenza di banalità: anche quando scrive di argomenti triti e ritriti, p.e. dell’amore, lei riesce a renderli originali, mai comuni o soprattutto dozzinali;

la luminosità: la sua scrittura è luminosa -i linguisti  direbbero che la luce è il campo semantico prevalente- e c’è luce sempre, non solo quando descrive luoghi incantevoli o importanti opere d’arte o piatti tipici locali rivisitati. Ma la luce è per lei anche metafora, che fa pensare al “lume” molte volte usato da Dante oppure al 18° secolo, il secolo dei lumi, cioè la luce espressa nel romanzo non è solo la luce comunemente intesa, del sole o quella artificiale dei neon o dei led, ma passando dal piano prettamente denotativo al piano connotativo è quella luce che illumina la mente e lo spirito, e li guida nella ricerca e nella conquista della comprensione delle cose. E con questa ottica si comprende meglio quello che il testo regala al lettore.

Perché gli argomenti che si intrecciano nella narrazione sono molti, tutti importanti e soprattutto di grande attualità: ne focalizziamo solo alcuni.

E cominciamo dal “tempo”, non solo perché è nel titolo, ma il tempo è argomento privilegiato dall’Autrice, enigma mai risolto e pensiamo sia a Sant’Agostino per il quale il tempo non è null’altro che la dimensione dell’anima che ad Albert Einstein per cui il tempo è un’illusione. E questo romanzo fa viaggiare il lettore sia sull’asse temporale che sull’asse spaziale. Il tempo da sempre, anche nei suoi precedenti romanzi, ha intrigato molto l’Autrice, che ha cercato risposte su quello che comunque rimane un mistero e sicuramente per lei il tempo non è solo Kronos, cioè passato, presente e futuro, ma qualcosa di più. Infatti l’incipit del romanzo -con un escatomage veramente singolare- viene da lontano, da un tempo passato.

L’Autrice riceve una lettera da una dei protagonisti del precedente romanzo che in fin di vita -ricordando quanto la sua infelice esperienza avesse interessato la scrittrice- decide di affidare a lei un compito delicatissimo: porgere l’estremo suo saluto, che, in realtà, è più una richiesta di perdono, alla figlia abbandonata in fasce e mai vista.  E da qui si dipana una storia molto complicata innanzitutto per individuare la giovane e raccontarle, poi, le sue origini sconosciute.

Ed ecco l’Amore, questo sentimento che da Jacopo da Lentini col suo  amore è un desìo che vene da core da più di otto secoli non è mancato mai nelle pagine letterarie e se nel precedente romanzo, in Diamante, è stato descritto anche e soprattutto l’amore malato, perverso, diabolico, che sfocerà poi in qualcosa di veramente drammatico, in questo romanzo l’amore viene veramente sublimato. E così si incontrerà l’amore, figlio di un’amicizia molto bella tra due donne, che si incontrano da adulte: la foto nella prima di copertina, realizzata dal quadro  della pittrice Francesca Mele, sintetizza mirabilmente il bellissimo rapporto che si viene a creare: una donna matura, che mostra solo metà volto, guarda con tenerezza una giovane(la mano sulla spalla) e con grande attenzione (lo sguardo apprensivo e affettuoso) esprime la gioia delle due protagoniste che  si scoprono legate da profonde affinità elettive e di conseguenza ne deriva una sorellanza a dir poco straordinaria.

E con climax ascendente si arriverà all’adozione, anzi nel romanzo c’è un’adozione al quadrato, cioè, il personaggio adottato a sua volta adotta e adotta, da single, un neonato nigeriano. Ci troviamo davanti all’atto d’amore più grande che possa esistere e le parole di Concetta sulla maternità “la maternità ha in sé qualcosa di magico che fa della donna l’asse intorno a cui ruotano i sentimenti di coloro che a lei si aggrappano chiedendo amore, amicizia, protezioneCon la maternità, naturale, spirituale o adottiva che sia, la donna conquista quel significato dell’esistenza che raramente può raggiungere per altre vie in quanto tocca il senso più profondo della vita” confermano ancora una volta la sua singolare sensibilità. E va sottolineato che il libro ha visto la luce nel novembre del 2019 e un anno dopo sarà papa Francesco a ribadire lo stesso concetto nella lettera apostolica dell’8 dicembre 2020: la Patris corde recita: “Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui” e nell’udienza generale del 5 gennaio 2022 rimarcherà che la scelta dell’adozione è “tra le forme più alte di amore”.

E sarà questa scelta a fare da sfondo al problema dei problemi: l’immigrazione, l’esodo massiccio dei popoli che fuggono da guerre e fame e attraverso il Mediterraneo raggiungono, quando sono fortunati, i nostri territori, approdi naturali per vicinanza geografica.

E il racconto si fa in alcuni punti veramente toccante perché la narrazione si sposta sull’asse spaziale e approda sull’isola dove il fenomeno dell’immigrazione veramente esplosivo diventa nello stesso tempo accoglienza e solidarietà umana, valori che sembrano connaturati alla popolazione: Lampedusa.

Perché è qui che l’adottata, diventata oramai ginecologa impegnata nell’accogliere i migranti, a sua volta decide di adottare un piccolo nigeriano, che ha aiutato a venire al mondo, mentre la sua mamma lo lasciava, questo mondo. E l’Autrice si sofferma a parlare di accoglienza e di pregiudizio, con una definizione molto forte sul pregiudizio, tanto che scrive: “il pregiudizio è un tipo di veleno che iniettato nel tessuto sociale genera il rifiuto dell’altro sentito come avversario e nemico” e lo fa con fermezza e determinazione dimostrando vicinanza e partecipazione autentiche ai meno fortunati che abbandonano il proprio Paese col sogno di poter vivere meglio. E a Lampedusa “Tutto acquistava un senso…avevo visto negli occhi di molte donne uno sguardo che non dimenticherò mai, il dolore misto alla serenità di aver toccato terra e uno sguardo amico”.

E nella sua condanna per quello che non si riesce a fare per risolvere questo tragico problema non risparmia neppure gli intellettuali che, a suo avviso, dovrebbero impegnarsi per rendere tutti consapevoli che “per la classificazione della specie noi tutti siamo la razza umana”.  Questa fu la risposta che Albert Einstein diede al funzionario, al suo ingresso in America, che gli aveva chiesto a quale razza appartenesse.

E quindi sull’asse spaziale il racconto da Lecce emigra a Roma, Bari e nella vicina Giovinazzo e Lampedusa e tutte queste località offrono all’Autrice la possibilità di descrivere le bellezze della nostra Italia: sia quelle naturali sia quelle architettoniche e pittoriche e non ultime quelle gastronomiche. Anche perché la Bellezza è fondamentale in tutta la narrazione: c’è la bellezza descritta minuziosamente p.e. delle tre tele di Caravaggio in San Luigi dei Francesi a Roma (Cappella Contarelli- Ciclo di San Matteo), di Lampedusa: “un vero paradiso”; descritte con passione e competenza nei dettagli. Anche il paesaggio, che è un elemento tecnico molto importante, qui viene usato con una duplice funzione: non solo per indicare al lettore le bellezze e le coordinate spaziali, ma anche per specificare gli stati d’animo, i sentimenti e il carattere dei vari personaggi.

E le descrizioni a volte sono così vive che sembra quasi di trovarsi in quei luoghi, di poterli toccare. La familiarità affettuosa della scrittrice per aver passato tanto tempo in quei luoghi a lei molto cari avvalora la bellezza delle descrizioni, che hanno sempre l’andamento di un’osservazione oggettiva, di una fedele pittura e poi tutto è talmente bello che deve essere salvaguardato.

Nel romanzo, che potrebbe essere anche un bildungsroman, un romanzo di formazione, dal momento che la protagonista, alias la scrittrice e non solo lei, subiscono nella narrazione cambiamenti tali da farli maturare attraverso esperienze vissute drammaticamente: “Porre la mia esistenza…a servizio degli altri…Un’idea che non mi aveva mai sfiorata!” E invece scoprire che “accostarsi all’umana tragedia ti costringe a procedere in eterno dentro di te, mentre ti limiti e ti dilati, ascolti negli altri il tuo respiro e senti più profondo il sapore della vita”. E il bildungsroman spesso diventa crescita, maturazione anche del lettore, che posto davanti a certi avvenimenti, di cui è a conoscenza e di cui ha sicuramente visto immagini, è profondamente più colpito dalle parole del libro.

Questo romanzo esalta moltissimo il ruolo di madre, con varie sfumature, “essere madre non deriva sempre dall’aver generato”(dice una Suora) e inizia con una dedica dell’Autrice al suo amatissimo figlio Giuseppe e, con straordinaria circolarità, termina la storia con una specie di preghiera dalla   sottintesa funzione conativa di desiderio e volontà di realizzazione: ”Tu oggi ami questo figlio, e lui ti amerà, lo seguirai nella vita, conoscerai anche la pena della troppa tenerezza, ma ricorda che un figlio è sempre figlio della sete che la vita ha di se stessa, non ti appartiene, egli è una freccia che scoccherà in avanti, segui il suo volo perché tu sei solo l’arco che ama il volo della freccia”.

 

Lina Leone