Recensione della Dott.ssa ANNA MARIA VETRANO

Un romanzo al femminile nel quale in una scrittura narrativa per così dire si stringono e si fondono ( con le parole di Virginia Wolf) “ guancia a guancia” miti antichi, misticismo, filosofia e poesia. Tutto ha inizio da un pino e da una casa . Entrambi segnano l’iconografia di un ricordo, il punto di partenza per un viaggio nel tempo alla ricerca d’identità perdute. Una narrazione mutevole, giocata su più registri, cronaca, noir, miti, poesia. La poesia soprattutto è profusa a piene mani nella descrizione dei luoghi nei quali la trama del racconto si sviluppa. Il proscenio della storia è il Salento disegnato,dice l’autrice, come in una delle opere del maestro Cascella, con le sue luci, i suoi colori, da una scrittura matura, raffinata, elegantissima. I rossi papaveri, gli azzurri dei fiordalisi, i giallo delle margherite, s’intrecciano con il verde profondo dell’Adriatico e del blu inchiostro dello Ionio., i due mari che abbracciano una terra “ che riesce a fecondarti – dice Maria Concetta – anche solo con uno sguardo”

Colori e paesaggi che risuonano di un’intensa musicalità e che hanno riportato alla mia mente i versi Di Alda Merini la poetessa del Nord legata a quel lembo di terra proteso sul mare verso il Sud del mondo, per l’amore che l’aveva legata a Michele Pierri, poeta pugliese. Entrambe colgono sensualità in ogni aspetto della natura (ripenso al Canto dello Sposo della Merini: la passione “di labbra gaudenti che mordono baci come si morde una mela al colmo della pienezza” e “ la forza di mani nude roventi, tese ad abbracci più numerosi di quanto ne valga una messe”. Sensualità, abbandono alla luce, ai colori, all’amore sono la cifra dominante della “Casa col pino”, nella prima parte della narrazione. Un amore che vince la Morte. L’esperienza umana elaborata dalla diverse culture è giunta infatti ben presto, alla consapevolezza del legane fortissimo tra Eros e Thanatos. Non è tanto la vita che si contrappone alla morte, quanto è l’amore a contrapporsi alla morte.La morte che tutto divora, che vince sulla vita, trova nell’Amore il nemico capace di resisterle perché nell’amore umano quello vero, è posta una scintilla che rimanda all’Amore di Dio, Amore che diventa paradigma per la conoscenza di Dio. Non a caso l’autrice, donna di profonda cultura e ottime letture, ha fatto precedere il suo primo romanzo da alcuni versetti del Cantico dei Cantici, libretto biblico che ha meritato il titolo ebraico di “Sir Hassarim”, conto dell’Amore per eccellenza, dell’amore fieramente umano che si alimenta anche di passione e corporeità, di eros e di umanità.

“Ponimi come sigillo sul tuo cuore
come sigillo sul tuo braccio
perché forte come la morte è l’Amore.”

Un binomio Amore e Morte, tornando alla “casa col pino”, alla cui violenza distruttrice si sottrae soltanto l’amore sublime di Elena, la figura più pura del romanzo. Nella sua storia,a storia di Elena s’imbatte, sin dalle prime pagine la narratrice , unna giovane giornalista dal nome classico di Flora, come la dea Gea chiamata anche un tempo Flora perché signora dei fiori.Quanti richiami sottili ai miti antichi affiorano nei romanzi di Maria Concetta, già Flora ci talvolta come una moderna e inconsapevole Sibilla; Maria Concetta è profonda conoscitrice del mondo classico, dei miti antichi che Freud vedeva come sogni deformati, in cui si realizzano i desideri della giovane umanità,frammenti di vita spirituale dell’infanzia dell’umanità. Flora è una giornalista inviata speciale in zona di guerra, dove ha vissuto una intensa storia con un giovane iraniano. Giorni lunghi di abbandono e sensualità, intervallati da ore frenetiche di lavoro nella redazione del giornale. Di colpo poi decide di porre fine a quella storia d’amore. Una vita sospesa tra Oriente e Occidente non le sembrava né possibile né accettabile.Lei una donna razionale, moderna, indipendente, se si fosse piegata a quell’amore, che pure l’aveva rapita, sarebbe stata solo una donna “amante” partecipe di quell’essenza velata dal mistero e dal dubbio che è la femminilità. Flora dunque ha troncato la storia. Le sue storie erano sempre state brevi non quella però perché Flora amava ancora quell’uomo. Era tornata nel Salento per una breve vacanza.

Un ritorno alle origini, un nostos al femminile!

Il tema del “ritorno” è tanto presente in tanta narrativa femminile europea e mondiale del nostro tempo. Basti pensare ai romanzi della Ortese, della Wolf, di Dolores Proto. Qui si tratta di un ritorno legato al tema della “ Sautade” della nostalgia, un ritorno intenso come recupero della memoria, dell’Amore del Bello. Nella lussureggiante vegetazione del retroterra salentino in cui si inoltra alla ricerca di giunchiglie selvagge, Flora ritrova il mistero al quale si è da poco sottratta, rifiutando l’Amore con le sue gioie e le sue lusinghe.Ritrova soprattutto un’altra se stessa, una giovane donna dei primi del ‘900 che al contrario di lei ha accettato il ruolo di creatura amante, capace di un amore assoluto, totale. Il Salento si appropria così della donna moderna, dei suoi pensieri, del suo corpo, quasi avvolgendo il cordone ombelicale al contrario fino a farla rientrare nel suo utero di madre, la dove il tempo si annulla e il presente e il passato si confondono in un unicum inscindibile. Amore e desiderio cessano di essere fantasmi ingannevoli da esorcizzare, ai quali ha rinunciato e diventano il filo conduttore ossessivo di una ricerca che ha in mente di approfondire in vista di un suo nuovo romanzo, ignorando o forse nascondendo a se stessa le motivazioni più profonde, oscure delle quali avrà consapevolezza solo alla fine della ricerca. Inizia così un lavoro di indagine tra persone e cose legate alla casa abbandonata “ la vecchia Casa colo pino.” I vetri caduti le porte semiaperte, gli interni inaccessibili, una tenda che palpita, una lettera disperata d’amore nascosta in un pomo d’ottone di un antico letto di ferro. Una descrizione bellissima di questa casa abbandonata che mi riporta col pensiero ai romanzi di Michele Prisco, un autore che ho avuto il piacere di conoscere di cui ho apprezzato la bellezza della scrittura. Gli elementi trovati nella vecchia casa abbandonata intrigano la giornalista che approfondisce la sua ricerca. In quella casa agli inizi del ‘900 è vissuta per un breve tragico spazio di tempo una giovane donna. Una donna colta, appassionata… un fiore che si aggirava nei boschi in attesa di essere colto. E quel fiore è stato colto con naturalezza nel tronco cavo di un vecchio ulivo. Elena, questo è il nome inciso su di una vecchia panchina, ha offerto il suo corpo e la sua anima ad un giovane sconosciuto fino ad allora al quale è apparsa in un giorno d’estate come un frutto da assaporare. Un amore vissuto tra il fascino dell’atmosfera e l’ebbrezza dei sentimenti durato lo spazio di un sogno spezzato di colpo dalle decisioni di due famiglie nobili del luogo quella dei De Bardo e dei Carreto. Alle quali i due giovani appartengono. Dallo stile di scriba veloce di Maria Concetta emerge, a questo punto, un affresco bellissimo delle provincia del Sud d’Italia ai primi del ‘900 e dei modelli di vita di una classe aristocratica in cui avidità e pregiudizi alimentano rancori profondi trascinando per la strada dell’odio, scrive l’autrice, vittime e carnefici dell’anima e del corpo. Il giovane Giovanni Carreto dovrà sposare la sorella maggiore di Elena, Maddalena DE Bardo. Lo impongono i dovere di figlio, l’amore per la madre, le leggi. Per Giovanni l’amore che aveva vissuto era come l’acqua limpidissima di una cisterna ma con tanti detriti sul fondo. Bastava un nonnulla perché i fondi si rimescolassero e le acque diventassero torbida. Per lei no. L’amore di Elena è un amore unico appassionato, indissolubile , l’amore di Elena non aveva fondigli perché era un pozzo senza fondo. Cessa l’idillio e comincia il dramma!La giovane donne relegata nella casa col pino si spegne per un male oscuro ed inconfessabile, il male al quale non si oppone e del quale la famiglia coglie la gravità solo alla fine. L’uomo si sposa con la donna non voluta e non amata e si abbandona,chiuso nella sua casa ad un rapporto rabbioso con la moglie fatto di sensualità ingorda di rancore e di rabbia. Per rabbia l’uomo finirà col distruggere tutto ciò che lo circonda.renderà infelici le creature nate dal seme dell’odio, finirà per procurare anche se involontariamente la morte a Giulio, l’ultimo de suoi figli. Solo allora prenderà coscienza del male di cui lui stesso con la sua fragilità è stato causa e motore. Intorno figure spente, comparse appena abbozzate, una sorella meschina e cattiva.una madre matrigna incapace di amare, un padre quello di Elena cieco burattino nelle mani della moglie. Una fiaba crudele alla quale Flora, la giornalista si avvicina con la duplice veste di cronista che raccoglie le notizie e e quella della prescelta che deve dare voce al mistero, mistero lei stessa. Una duplicità che si scioglie nelle pagine finali,nelle quali, Flora, nelle camera de letto di Elena e con Elena vive ogni momento dell’amore e del desiderio.. Una fusione che è ritorno alla madre, la Magna Madre Mediterranea e fertile dea dell’Amore e della vita,una figura presente nelle sculture di tutte le culture preistoriche quando nella notte dei tempi regnava la Madre Terra come la poesia d’Amore della Mezzaluna fertile in quell’arco storico culturale che va dalla Mesopotamia sino all’Egitto, in quel tempo in cui non si era ancora affermata la cultura della violenza e la società patriarcale.

Alla fine del romanzo riaffiora nuovamente il tema del ritorno,il ritorno alle origini, nella terra del Salento terra di civiltà antica persa tra il giallo tufo e pietra bianca nella immense distese di ordinati ulivi. In questa terra benedetta Flora ritrova l’amore rivive la splendida stagione fatta di stupori, di lacrime di trepidazione in cui come in una coppa di cristallo sembrano distillarsi i profumi dell’universo. L’amore ritrovato ha un gusto simile all’amore scoperto.

Avellino – Agosto 2008 L’ARCO – “La Casa col pino” di Maria Concetta Cataldo
Recensione della Dott.ssa ANNA MARIA VETRANO